Locazioni al tempo del covid-19: prospettive future e percorsi interpretativi

Premessa

La condizione di emergenza legata alla diffusione del coronavirus, con le straordinarie misure anti-contagio adottate dal Governo e dalle Regioni, ha già generato non pochi problemi sul versante delle locazioni, sia per quelle ad uso commerciale sia per quelle ad uso abitativo. E tali problematiche, che derivano dalla immediata impossibilità di svolgere quelle attività che in passato si davano per scontate e che consentivano di poter godere senza limitazioni dell’immobile, sono certamente destinate ad avere gravi effetti anche nel futuro. In stretta connessione con la situazione economica generale e con le difficoltà di carattere sociale che già si manifestano in tutta la loro drammaticità, il mercato delle locazioni è destinato indubbiamente a conoscere nel futuro una situazione di crisi; crisi che riguarderà in maniera principale e diretta le locazioni commerciali, in considerazione della flessione della redditività delle attività e delle ulteriori e gravose misure di sicurezza che i commercianti saranno costretti ad adottare (misure restrittive in relazione all’accesso dell’utenza, misure di igienizzazione, dotazione di dispositivi di protezione, ecc.). Senza contare l’inevitabile calo generale dei consumi.

Nello sconfortante quadro socioeconomico che si prospetta, e nella confusione di una normativa emergenziale che si sussegue rapidamente nel tempo, spesso ricorrendo a fonti del diritto (o, più correttamente, di interpretazione del diritto) prima d’oggi sconosciute[1], occorre che l’interprete del diritto individui soluzioni quanto più chiare possibili, prospettando alle parti del contratto di locazione rischi ed opportunità connessi ai diversi rimedi prospettati.

Nel proliferare, in questo periodo, di articoli aventi ad oggetto le locazioni (affrontate sotto i più diversi profili e da differenti punti di vista), questo scritto si propone – senza, tuttavia, pretese di esaustività – quale contributo per una riflessione organica e complessiva sulle soluzioni offerte dall’ordinamento giuridico in questo periodo di emergenza, privilegiando quelle “conservative” del rapporto locatizio.

Le norme emergenziali in materia di locazioni

Seppure sia auspicabile l’adozione di provvedimenti normativi che, anche nel settore delle locazioni (così come avvenuto in altri settori), possano contribuire a porre sulle spalle dello Stato (e dunque della collettività) il carico emergenziale della crisi, non vi è ad oggi traccia di alcuna disposizione normativa intesa a modificare – neppure parzialmente – la disciplina dei contratti di locazione che rimane, invece, saldamente ancorata alla rigidità del dettato della Legge n. 392 del 1978 (per le locazioni non abitative) e della Legge n. 431 del 1998 (per quelle abitative). In assenza di un intervento normativo statale, le conseguenze dell’emergenza ricadono, pertanto, solo sulle parti del rapporto locatizio le quali non possono fare riferimento ad una soluzione uniforme e chiara a livello generale.

L’art. 65 del D.L. n. 18 del 17 marzo 2020 (c.d. Decreto “Cura Italia”)[2] si è preoccupato della situazione emergenziale in cui versano i conduttori dei contratti di locazione commerciale ed ha previsto un credito di imposta pari al 60% dell’ammontare del canone di locazione corrisposto per il mese di marzo 2020. Tale norma costituisce una risposta limitata e circoscritta e, per quanto utile a lenire l’impatto della crisi determinata dall’immediata chiusura delle attività commerciali, da un lato circoscrive i suoi effetti temporalmente al solo mese di marzo e dall’altro risulta espressamente applicabile alle sole categorie catastali C/1 (negozi e botteghe), escludendo ad esempio dalla misura magazzini e laboratori. Tale norma, peraltro, in considerazione della sua formulazione, riguarda solamente i negozi interessati dalla “chiusura forzata” ed esaurisce i suoi effetti sul piano prettamente tributario. La disposizione in oggetto, infine, presuppone il pieno adempimento del conduttore rispetto all’obbligo di pagamento del canone di locazione, così confermando di non intervenire nel rapporto fra le parti[3].

 

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